Pagine

Tuesday, December 30, 2003

Buon Anno Nuovo a Tutti!!!
Arrivederci nel 2004!
La rivincita. Milosevic eletto deputato
Quel processo all'Aja che non si voleva come una nuova Norimberga è diventato per il boia del Balcani una vetrina preziosa che gli ha garantito la rielezione come deputato a Belgrado. Né quel processo ha evitato il risentimento nazionalista dei serbi. Insomma, ora il dibattito su come processare Saddam si arricchisce di una riflessione in più. Questa potrebbe essere una, ma non è detto che sia quella definitiva.
Sui risultati delle elezioni serbe
Della seria buone letture, a voi, dibattito sulla storia
Con Paolo Mieli e Giovanni De Luna.
Il Foglio

Monday, December 29, 2003

Terromoto in Iran. Arrivano i nostri
Per la prima volta da decenni militari americani in Iran. Ma per portare aiuti umanitari alle popolazioni colpite dal terremoto. Teheran ha accettato ufficialmente le offerte di aiuto del 'falco' Armitage. Calorosa l'accoglienza per il volto buono dell'America. Verso un regime change nonviolento?
Caso Parmalat visto da fuori
«Lo scandalo Enron è "peanuts", noccioline, in confronto allo scandalo Parmalat. Non so se ci avevate pensato, ma il buco dei conti di Tanzi equivale allo 0,8% del Pil nazionale».
Poco da brindare e Capodanno
Cresciamo poco e senza fiducia. E fanno solo sorridere Governo e opposizione.
il Riformista
Riecco il Silvio Berlusconi Show
Il gioco che Berlusconi conosce meglio è quello delle campagne elettorali. Ce lo dovremo sorbire. E' iniziata la corsa verso le europee 2004 e le politiche 2006.

Wednesday, December 24, 2003

Buon Natale e buone feste a tutti voi!
«Chi tollerò Piazzale Loreto accetti la visita dentistica a Saddam»
Parla il filosofo francese André Glucksmann: «Una volta dissipata la gioia per la cattura di Saddam Hussein, ho paura che una parte dell'Europa soccomberà di nuovo al suo demone favorito: cogliere in fallo gli Stati Uniti, in nome del sacrosanto principio di sovranità. Ma il diritto d'ingerenza in nome dei diritti umani, se è un peccato capitale agli occhi dei cultori della sovranità alla Carl Schmitt, è un dovere ineludibile secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo». Leggi tutto.

Mubarak apre a Sharon, la Libia non è una sorpresa, il lavoro paga
«In una settimana, scettici e pessimisti della strategia americana ne hanno di spunti su cui riflettere. La cattura di Saddam. Il sì dell'Iran alle ispezioni nucleari. Gheddafi che a sorpresa rinuncia alle armi chimiche e nucleari dopo nove mesi di trattativa con Londra e Washington. Il ministro degli Esteri egiziano che incontra Sharon e lo invita al Cairo dopo anni malgrado il no delle fazioni armate palestinesi. Il prossimo a doversi muovere è Bashar Assad, la Siria non può restare isolata, e da quanto so i britannici ci stanno lavorando alacremente».
Qui si fa finta di niente, non dico di crederci, ma almeno che se ne parli. L'Europa è tremendamente distante: dicesi isolazionismo pacifista.
Prima si rideva di Bush: "Dov'è Saddam?". Ora esce fuori che: "Tanto Saddam non contava più niente". Contava eccome.
Parlavo degli scioperi selvaggi naturalmente. I prefetti precettano, i giudici assolveranno le eventuali violazioni con una pacca sulle spalle, considerando «l'alto valore sociale e civile» delle proteste. E' il richiamo della famiglia.
Allora ricominciamo con una proposta concreta. Illegale lo sciopero selvaggio: già oggi il diritto di sciopero nel settore dei trasporti pubblici è regolato per legge, ma basta con le precettazioni che non servono a niente. Chi non rispetta le regole viola il proprio contratto e l'azienda ha facoltà di licenziare.

Parlavo anche di Parmalat naturalmente. Mi sembra evidente che i problemi sono il sistema bancario e creditizio, la gestione familiare - come la robba di Verga - delle aziende italiane, i controlli. Ma le banche in Italia sono private o statali? Perché sembra quasi che gestiscano denari non propri, che distribuiscano e ricevano favori, piuttosto che cercare profitti e investimenti. Meglio: se un pinco pallino qualsiasi come me va sotto di 100 euro lo chiama il direttore, per aprire un mutuo devo ipotecare la dentiera, se un piccolo o medio imprenditore chiede un credito deve dimostrare di non avere contravvenzioni non pagate, se però chiede soldi un grande gruppo megaindebitato, allora i cordoni della borsa si aprono. Varrà anche qui il magico richiamo della famiglia? Il potere economico in Italia, una questione di famiglie e di partiti, di assistenzialismo e di tutti che ci guadagnano la loro fetta, liberismo neanche a parlarne, risparmiatori cornuti e mazziati.
Comunque, qualcuno dica a Rutelli che le modiche al falso in bilancio non c'entrano una sega!.
Ancora sul pluralismo consociativo
Cosa c'è dietro il crac dei Tanzi, l'analisi di Renato Brunetta

Sono solo due botte di qualunquismo

Su presidente! Domani è Natale, dovremmo essere tutti più buoni, conceda la grazia a Sofri, si faccia un regalo di buon senso e legalità!

Monday, December 22, 2003

In un Paese in cui l'ha vinta chi non rispetta le regole, in cui se non appartieni a una casta non conti niente, ma proprio niente, in cui la democrazia è corporativa, al modo dei fasci e delle corporazioni, al modo anche un po' mafioso, chi ha il doppio voto e chi niente, chi mente e chi riesce. Oggi i compagni piangono Tanzi, «poveretto», e se ne fottono dei risparmiatori, degli investitori, dell'inflazione e tutto il resto. Però se Berlusconi c'aveva il buco alle Cayman... Ma lui non è di famiglia. to be continued
Altro che Gasparri. Diciamola tutta
«Promemoria su come in Italia s'è governato con decreti salva aziende».
Il soldato americano
La persona dell'anno secondo Time.

Friday, December 19, 2003

Shanghai, mercato
Shanghai, mercato (luglio 2002)
Prontuario per rispondere ad altre irritanti buone notizie provenienti dall'Iraq
Christian Rocca è comunque un ragazzo sensibile e dall'animo gentile. Si preoccupa che chi la pensa diversamente da lui possa comunque trovare argomenti per sostenere le sue posizioni. Un vero democratico. Questo giochino dimostra come spesso intraprendere discorsi sull'Iraq o sulla poltica estera con certi individui sia del tutto tempo perso, un loop mentale che porta all'intorpidimento. Se vi è capitato di sentirvi pronunciare quele frasi, è il momento di preoccuparvi: leggete qualche buon libro, navigate su internet.
"Beyond Therapy: Biotechnology and the Pursuit of Happiness"
Il presidente del Consiglio di Bioetica americano Leon R. Kass all'American Enterprise Institute.
Camillo

Thursday, December 18, 2003

La chiave: «Chi invoca il pluralismo come se fosse sinonimo di libertà e concorrenza non sa di che cosa parla»
«Nella tradizione europea è assimilabile al corporativismo. In Italia è partitocrazia». E' questo il punto, lo mette a fuoco Angelo Panebianco.
Da noi, «pluralismo non ha mai significato vera competizione e non ha mai avuto come fine la libertà degli individui, ma quello di garantire sfere d'influenza. Il pluralismo è una condizione della libertà, ma può anche entrare in conflitto con essa. Il pluralismo, inteso come presenza di una diversità di attori istituzionali e sociali, è condizione necessaria ma non sufficiente per avere un regime di libertà. Nell'accezione anglosassone la preoccupazione per gli eventuali esiti negativi del pluralismo per la libertà è molto sentita, «perché è sempre viva la percezione che quella pluralità di gruppi può diventare oppressiva degli individui. Lo diventa quando i gruppi, anziché competere, colludono. Ciascuno si ritaglia la propria area d’influenza e poi ci si mette d'accordo. A questo punto le libertà non sono più tutelate, e i gruppi diventano oppressivi dei singoli. Finisce quella libera concorrenza tra gruppi che è tutela indiretta delle libertà individuali».
«Largamente identificabile col corporativismo, il termine pluralismo viene usato per addolcire una parola screditata dai fascismi». Un esempio? «Da noi l'importanza della corporazione è tale che persone in assoluta buona fede pensano che, in una società liberale, quello che conta sia l'indipendenza della magistratura. In una società liberale autentica, quello che conta è invece l'indipendenza del singolo giudice. Qui invece, dove la visione è di tipo corporativo, bisogna assicurare prima di tutto l'indipendenza dei gruppi corporati».
«Storicamente, quindi, e proprio nel campo dell'informazione radiotelevisiva, il termine "pluralismo" si connota come antitesi della competizione, all'insegna della spartizione collusiva di zone d'influenza». Ecco perché nessuno toccherà mai né Rai né Mediaset. Mettiamoci l'anima in pace.

Wednesday, December 17, 2003

"Il benedetto editoriale"
Mi ero promesso di postare un buon numero di editoriali usciti sulla stampa italiana riguardo la cattura di Saddam. Forse li ripescherò, ma per ora preferisco segnalare il bollettino del Memri, lasciando spazio ai commenti della stampa irachena e araba. Il prestigioso quotidiano indipendente iracheno Al-Zalman per esempio, titola il suo editoriale «La caduta di Saddam è completa e il sole ritorna a splendere in Iraq». Ovviamente, non sono tutti dello stesso tenore.
Qui estratti degli articoli
Memri
Speciale «Iraq libero»
La mia ultima fatica on-line.
«Con la cattura dell'ex dittatore Saddam Hussein, annunciata domenica 14 dicembre dall'Autorità provvisoria della coalizione in Iraq, si apre una nuova fase del dopoguerra iracheno. Fin dal 20 gennaio, mentre la comunità internazionale e le piazze si dividevano sulla pace e sulla guerra, il leader radicale Marco Pannella lanciava una sua proposta per la soluzione della crisi. L'esilio del dittatore e un'amministrazione fiduciaria dell'Onu in Iraq per garantire libertà, democrazia e diritti agli iracheni. Nonostante l'adesione della maggioranza assoluta dei parlamentari italiani, il Governo si è rifiutato di farla propria. "Iraq libero" si poneva come unica vera alternativa alla guerra. Opposta alla logica dei pacifisti, perché aveva come obiettivo la vera pace, ovvero la democrazia, la libertà, i diritti umani per gli iracheni. Opposta anche all'approccio dell'amministrazione Bush, che sottovalutava la forza dell'arma di attrazione di massa nonviolenta che era quella di un'edificazione chiara di un processo di conversione del regime iracheno in una democrazia. Un salto di qualità nella politica dell'Onu: la democrazia e i diritti come paramentro e obiettivo della sua azione e della politica estera degli Stati occidentali, un primo passo verso l'Organizzazione mondiale delle democrazie.
Questo speciale, realizzato da RadioRadicale.it, ricostruisce le fasi della campagna "Iraq libero", dal 20 gennaio ad oggi, mettendo a disposizione degli utenti tutti i documenti audiovideo del nostro archivio, approfondendo gli aspetti e i passaggi che a causa della censura mediatica sull'iniziativa non sono stati conosciuti, e spiegando l'attualità della proposta e il suo significato di fondo. Molti dei documenti di testo sono invece il frutto del lavoro dell'intera redazione internet nel corso della primavera scorsa, quando gli eventi della crisi furono coperti mentre alla guida del sito c'era Rino Spampanato.»
RadioRadicale.it

The "free Iraq" campaign. Full story of Marco Pannella and Radical Party plan: exile for dictator Saddam Hussein and Onu provisional administration in Iraq for freedom, democracy, human rights of iraqi people.
Milena Gabanelli, la giornalista di Report, avete presente? Trenitalia l'ha citata in giudizio. Sarebbe stata lesa l'immagine dell'azienda a causa di un'inchiesta svolta dal suo programma dopo l'incidente di Casalecchio, in cui ci furono 1 morto e 150 feriti e tre inchieste ufficiali aperte. Nell'ambito degli incontri svolti a Cattolica sul giornalismo intitolati "Dietro la notizia", la Gabanelli è tornata sulla vicenda. L'audiovideo.

Tuesday, December 16, 2003

Ingiustizia è fatta
Senza movente, senza arma del delitto, incerta la provenienza dello sparo (decine di finestre compatibili), testimonianze sotto minaccia, due condanne per insufficienza di prove. Solo sputi merita la sentenza definitiva sul caso Marta Russo. Ingiusta per gli imputati, indecorosa per la vittima. Disonore su tutta la magistratura italiana. La giustizia va completamente riformata e quando le forze politiche si decideranno a farlo sarà sampre troppo tardi. Separazione delle carriere innanzitutto: i giudici non hanno il coraggio di contraddire i colleghi accusatori. Riforma dell'avanzamento di carriera. Nuova riforma del processo. Decurtazione dello stipendio al terzo grave errore giudiziario. Messa al bando e divieto di ricostituzione per le attuali associazioni dei magistrati. Riforma del Csm. Svelato l'imbroglio: "Scattone e la diplomazia della Cassazione".
Bravo presidente!
Gasparri sottoterra. Berlusconi un bambino capriccioso

Sunday, December 14, 2003

Preso!
Ora lo si obblighi a firmare la resa. Riconoscergli lo status di belligerante e ottenere la sua resa incondizionata consentirebbe di ritenere giuridicamente fuori-legge coloro che continuassero a minacciare le forze delle coalizione e la popolazione. E' giusto che sia processato dagli iracheni. "Il tiranno è in ceppi. Ne valeva la pena"

Un bel risveglio questa domenica.
«Ora, bisogna ubriacarsi. Ora, bisogna che ognuno
a forza beva»: Saddam è in ceppi.

Saturday, December 13, 2003

Europa, ancora vergogna
La Cig sembra avviarsi ad un fallimento, per fortuna. Ma quale Unione può nascere senza ideali, senza visione, semplicemente cercando di far collimare interessi partigiani accontentandosi di un artificio costituzionale in grado solo di non far venire alle mani? Lo stop del processo d'integrazione è oggi evidente a tutti e governare un'Europa a 25 con gli strumenti odierni significa perdere posizioni sullo scenario globale. La nostra spocchia inoltre, ci impedisce i necessari mea culpa. Un disastro annunciato.
Rutelli falso e demagogico
Editoriale su il Riformista. Il giornale di Polito ha già lanciato una campagna per il referendum abrogativo di parti della legge appena approvata sulla fecondazione assistita: «per cambiare la legge e non per guerre di religione». Questi punto per punto i cambiamenti da votare. Intanto Socci ha superato il limite, meriterebbe una sberla e comunque ci ha fatto due palle la sua trasmissione "di clausura" e lui si è definitivamente «santorizzato», è davvero ora di cacciarlo via a pedate.

Il problema però è che durante le elezioni politiche di questi temi non se ne è voluto parlare, come se gli elettori non avessero avuto diritto a conoscere come avrebbe votato la "coscienza" del deputato che si accingevano ad eleggere. . Anche oggi il rischio è che venga messo tutto più o meno a tacere per non intaccare il fragile equilibrio che tiene incollato il centrosinistra in vista della lista unica per le europee.

Friday, December 12, 2003

Sofri: «Poveri radicali, niente di cui pentirsi»
Dalla sua rubrica su Panorama, un'interessante riflessione sui radicali. ***Da leggere
Privi di ogni moralità. Gli appalti per la ricostruzione dell'Iraq. L'amministrazione Usa, tramite il suo probabile nuovo segretario di Stato Paul Wolfowitz, ha detto 'no' alla partecipazione di aziende degli Stati che si sono opposti all'intervento armato. Due neocons, Kagan e Kristol, criticano la scelta, sono fiduciosi che Bush ci ripenserà. Comprensibili le ragioni delle scomposte e irritate reazioni. Non facciamo gli ipocriti. E' ovvio che molti ci guadagneranno, con il denaro dei contribuenti americani e sui bisogni del popolo iracheno, ma pretendere che ciò non avvenga sarebbe solo un dispetto nei confronti di milioni di iracheni usciti da un terribile regime. Né la decisione di escludere dagli appalti Francia, Germania, Russia, Cina e Canada danneggerà in alcun modo la ricostruzione. Migliaia di forti e ottime aziende di decine di nazioni parteciperanno, miliardi di dollari, quasi la somma del piano Marshal che contribuì a ricostruire l'Europa intera dopo la seconda guerra mondiale, saranno investiti. Piuttosto si deve osservare l'estremo cinismo di chi ora vorrebbe persino guadagnarci su. Schroeder, Annan, Chirac e gli altri sono privi di ogni moralità. Non solo si sono opposti fermamente alla liberazione del popolo iracheno da un'orrenda tirannide, perché di questo si è trattato, non avendo fino ad oggi nessuna considerazione dei diritti di quella gente, neanche si sono degnati di spedire un soldato per stabilizzare e pacificare il Paese nel timore di legittimare ex post l'intervento. Ma ora che è il momento degli affari si scordano di tutto e piombano a corpo morto come avvoltoi. E' il momento più basso della diplomazia di bassa realpolitik di questi signori e dell'Onu: 'lotta al terrorismo, democrazia, diritti non ci frega niente, noi partecipiamo ai banchetti', ma il gioco è così scoperto che può solo scandalizzare. E poi scusate, perché tanta improvvisa voglia di andare in Iraq? Gli americani non stanno perdendo il dopoguerra in un nuovo Vietnam?

Thursday, December 11, 2003

Manifestazioni contro il terrorismo a Baghdad
Ieri si è tenuta, ed è stata un grande successo (secondo Al Jazeera più di diecimila persone) una manifestazione di iracheni contro il terrorismo. Qui un breve resoconto in italiano tratto dal blog di Zeyad, eccezionale reporter che meriterebbe dodicimila premi. Qui cosa ne ha scritto Omar sul suo blog. Qui le foto della manifestazione contro il terrorismo, contro le tv arabe e contro chi definisce "resistenti" gli assassini fascisti. Il giorno dopo. Solo il Corriere in Italia ne ha dato notizia.
Fonte: Camillo

Wednesday, December 10, 2003

Fecondazione assistita: Ha ragione Rocca
e Ferrara è tornato sulle trincee ideologiche.
Caro Christian. Indubbiamente, come spesso accade, i partiti legiferano passando, in questo caso letteralmente, sul corpo dei cittadini, ma più della convinzione conta l'uso che viene fatto di questa legge: riposizionamento politico-elettorale-ideologico, questione di immagine. Davvero avvilente, vadano tutti a farsi fottere.
"La sinistra dei diritti s'è fermata a Rutelli. Una maggioranza assistita divide l'Ulivo", su il Riformista.
«Che palle la nostra meglio Gioventù
... molto meglio il vecchio Jack», Guia Soncini. Lo sceneggiato è una cagata, come al solito, come molte produzioni televisivie e cinematografiche italiane. Però mi piace l'idea di raccontare i pezzi della storia contemporanea del nostro paese attraverso le vicende personali di gente comune. Che poi, come dice Guia, tanto comuni non sono, ma ci hanno almeno provato. Un altro passo avanti c'è, non c'è più la militanza ideologica che ha sempre tormentato il film del genere. Per ora ci accontentiamo, anche se rimane la fastidiosa militanza generazionale.

Sunday, December 07, 2003

Cosa hanno in comune Tunisia, Marocco, Ecuador, Senegal, Cuba, Argentina, India, Ungheria, Stati Uniti e Italia? Da questi Paesi provengono i musicisti dell'orchestra Piazza Vittorio, un'orchestra messa su da Mario Tronco degli Avion Travel. Ieri sera si sono esibiti all'ex mattatoio di Testaccio. Pubblico in visibilio. La manifestazione era "Etnica", un susseguirsi di artisti provenienti da più parti del mondo, culminata con l'entrata in scena dell'ensemble dell'esquilino. Brani dal ritmo trascinante, sfrenato, dominati di volta in volta da sonorità indiane, sudamericane, arabe, tutte perfettamente fuse e armonizzate, e comunque ben distinguibili in ciascun pezzo. La sala cominciava ad essere fumosa e i faretti colorati fendevano l'impercettibile coltre per andare a cadere sui musicisti. Dovunque voltassi lo sguardo, pareva di essere a un tavolo nella penombra di un club dell'Avana, in uno splendido palazzo del Rajastan, in uno dei cafè che danno sui caotici vicoli di Tangeri, o circondato da suonatori indios sull'altipiano andino. Contagiosa l'allegria di quei ragazzi, il complice intrecciarsi dei loro sguardi e dei tratti somatici, l'energia e la loro voglia di raccontarsi. Ciascuno un fenomeno nel tormentare gli strumenti tipici della propria terra, ma anche nei canti a squarciagola, mentre le mani si vedevano letteralmente sparire sulle percussioni. Tre bis, applausi e inchini a ripetizione. Superlativi, immigrants.

Friday, December 05, 2003

«Trasformismo: Sistema Politico o Vizio Nazionale?»
Giovanni Sabbatucci ne parla nel suo ultimo libro. «Il trasformismo come sistema», questo il titolo dell'ultimo libro dello storico Giovanni Sabbatucci, che cerca di fare il punto su quella che Ernesto Galli della Loggia, intervenuto alla conferenza stampa di presentazione, ha chiamato la «anomalia centrista» della politica italiana.
Alice, per RadioRadicale.it

Thursday, December 04, 2003

Guerra al terrorismo, «esportare» la democrazia. Divisione dei compiti
Una razionale (paradossale ma fino ad un certo punto) divisione dei compiti interna all'Occidente. La mia è ovviamente solo un'ipotesi suggestiva. Ma lasciamo le cose come stanno, lasciamo al contribuente americano l'onere di difendere militarmente gli Stati Uniti e i paesi democratici contro le minacce globali che vengono dalle dittature. E l'Europa? L'Europa si tenga stretta la Nato, collabori con gli Usa per adeguarla alle nuove sfide, senza creare contraltari, mantenga gli attuali bilanci per le difese nazionali. Punti invece tutte le sue risorse, più o meno quanto, in percentuale di Pil, gli Stati Uniti spendono per la difesa, nell'I-Bombing. Investa sulll'arma innovativa dell'attrazione di massa: bombardare d'informazione e comunicazione laddove le dittature hanno bisogno della mancanza di conoscenza tra i propri cittadini.
Fecondazione assistita: e c'è chi invoca la "libertà di coscienza"...
«Ancora scontro tra i cattolici e i laici del centro sinistra. Imbarazzo fra i laici della Cdl. Si torna ad invocare la "libertà di coscienza" per nascondere di fronte ai cittadini le responsabilità dei partiti e delle coalizioni, denunciano i radicali».
RadioRadicale.it
"Scrap the U.N., create League of Democracies"
Di Jonah Goldberg, editore National Review.
E' una buona cosa un nuovo sostegno per un'Organizzazione mondiale delle democrazie. Ma è proprio da scartare l'Onu, o è riformabile?
Rumsfeld a Bruxelles, nella «vecchia Europa»
«Nel mondo non c'è più memoria, purtroppo. Sono stato nella Corea del Sud. Una giovane giornalista di una quarantina d’anni, una brava e informata signora che fa il suo mestiere in un paese libero, mi ha chiesto: ma perché i giovani sudcoreani dovrebbero rischiare la pelle con voi in Iraq? Avevo appena sostato, nel corso di una cerimonia, davanti a una stele in ricordo dei caduti della guerra di Corea, dove c'era il nome di un mio compagno di scuola. Le ho risposto. Questa domanda me l'avrebbe dovuta porre un giornalista americano quando il mio compagno di scuola venne in Corea a rischiare la sua pelle. Guardi dalla finestra, signora, guardi a Seul quanta elettricità, quanta energia, quanta luce di un paese prospero e libero. Sa che cosa si vede al Nord, nel paese di Kim, dal satellite? Le mostrerò la foto: è tutto buio, tutto nero». Donald Rumsfeld
Leggi tutto l'articolo
Ripresa Usa a +9,4%. L'"odiato consumatore americano"
«C'è molta più intelligenza a indebitarsi approfittando di tassi mai così bassi, per comprare case, auto e gadget elettronici oggi, e per trainare oltretutto la crescita del mondo intero, che a tenere il 24 per cento delle attività finanziarie ferme in banche inefficienti e senza che il governo tagli le tasse, come facciamo noi». Leggi tutto

Wednesday, December 03, 2003

D'Alema ha abdicato. Se ci sei batti un colpo
Bisogna riconoscere a Fini di saper esercitare all'interno del suo partito una leadership reale che interviene come guida nell'evolversi della cultura politica di An. E' dovere dei leader di partito nei confronti della «base», come dei grandi statisti per i propri cittadini, porsi come figure rappresentative, ma anche saper tracciare delle linee guida, evolutive, sviluppare politiche in contatto con il resto della società e che sappiano interpretare al meglio le sfide del presente. Fini ci prova, è criticato, risponde, va avanti. Con coraggio, con la fiducia che i suoi sanno fargli. A sinistra purtroppo, non accade altrettanto. D'Alema, con lui la dirigenza che si dice riformista dei Ds, non ha saputo «creare» cultura politica di governo e di responsabilità. L'ultimo esempio: l'Iraq. Il D'Alema dell'ingerenza umanitaria in Kosovo senza l'Onu che autorizzava le azioni dei bombardieri italiani contro il regime di Milosevic, per propaganda e opportunismo è invece rimasto succube della sinistra pacifista del suo partito sulla crisi irachena. Una «base» sempre più «conservatrice» e massimalista appare fuori controllo. Ancora oggi, di fronte all'Iraq libero, all'unanimità del cordoglio degli italiani per i carabinieri caduti e alle posizioni della Chiesa, che continua a definire «missione di pace» l'azione delle truppe occidentali in Iraq, il presidente dei Ds ha scelto di rinviare la decisione sulla richiesta di ritiro delle truppe che giunge dalla sinistra pacifista e insiste a dire che «combattere il terrorismo con la guerra è come spegnere il fuoco con la benzina», e a chiedere una «svolta» che chiami in causa l'Onu (già c'è stata una risoluzione unanime, e comunque non è la coalizione che si oppone ad un maggiore coinvolgimento). D'Alema e la dirigenza riformista hanno abdicato dal loro naturale ruolo di leadership: a volte bisogna dimostrare coraggio, mettersi in gioco, convincere, a costo di provocare fratture. Attenuante: le logiche interne al vecchio Pci e all'area culturale post-comunista. Qui i conti col passato non si sono ancora fatti. L'avversario interno, ancor più di quello esterno, è colpito dallo strumento della demonizzazione.

Tuesday, December 02, 2003

Accade anche
«Il 13 dicembre manifestazione per la "resistenza" irachena con preti, nazi e no global».
Perché fate bene a restare con Fini e a non dar retta a Storace
Il viaggio di Fini in Israele. Era una visita preparata da molto tempo. Un'occasione per un nuovo passo del suo partito verso la modernità e il pieno riconoscimento democratico. Un'occasione da non sciupare. Dal punto di vista storico è naturale che le sue dichiarazioni siano state più che discutibili, ma la politica purtroppo, o per fortuna, ha le sue scorciatoie, i suoi vicoli stretti. In quella situazione la semplificazione usata da Fini era obbligata e sacrosanta: un solo gesto di esitazione nella risposta, un accento solo un poco più problematico avrebbe vanificato l'obiettivo del viaggio, che anzi si sarebbe ritorto contro il vicepremier, penalizzando l'immagine di An molto più del lecito. Una risposta che avesse voluto cogliere la complessità della storia sarebbe apparsa in quel contesto come un'apologia. E' miope non riconoscerlo. Berlusconi poi, non è eterno, il percorso di costruzione del Fini leader di un centrodestra moderato deve proseguire, è interesse di tutti.
La buona fede non basta
L'accordo di Ginevra rappresenta un contributo encomiabile nel dibattito politico e intellettuale sul conflitto tra israeliani e palestinesi. E' fuor di dubbio la buona fede e l'anelito di pace dei suoi estensori. Ha però il valore di mera testimonianza. Bisogna riconoscere che il cuore è più leggero quando si offrono concessioni da «irresponsabili», sapendo cioè che non si sta sottoscrivendo un accordo vincolante per i destini del proprio popolo. Di certo l'accordo verrà strumentalizzato contro il governo israeliano. Né si possono incolpare di questo i promotori dell'iniziativa. Il pregiudizio anti-israeliano pre-esiste e se ne assumono la piena responsabilità gli strumentalizzatori. Per il resto, nulla cambierà: la pace dipenderà sempre dalla sincera volontà della leadership palestinese di rinunciare al terrorismo, prima che dalle questioni di merito.
Powell ha smentito Berlusconi sulla Cecenia. «La Russia deve garantire il rispetto dei diritti umani anche quando combatte il terrorismo e mantiene la propria integrità territoriale». Sono «rapporti credibili» quelli che documentano abusi in quella regione. Vedi Cav.? Essere «amici» della Russia e di Putin non significa foderare gli occhi di prosciutto.
RadioRadicale.it

Friday, November 28, 2003

Nuovo materiale per gli storici
Uno straordinario documento declassificato in occasione del 40esimo anniversario dell'uccisione di John Fitzgerald Kennedy e risalente a soli 17 giorni prima dell'attentato. Dopo la crisi dei missili all'interno dell'ammnistrazione c'è chi valuta e sottopone al presidente un approccio più accomodante nei confronti del regime castrista. JFK si mostra interessato: al suo staff dice di «iniziare a riflettere circa una linea più flessibile» sulle condizioni per un dialogo con Cuba. Castro anche: «possibile, se gli Stati Uniti lo desiderano», risponde ad una giornalista dell'Abc che avrà un ruolo centrale nei contatti. Castro invita William Attwood, membro della delegazione Usa all'Onu all'Avana per discutere del miglioramento dei rapporti Cuba-Usa. Nel nastro reso pubblico si ascolta la conversazione sull'invito avvenuta nello studio ovale della Casa Bianca tra il presidente e il consigliere per la sicurezza nazionale McGeorge Bundy. L'idea piace a JFK che però raccomanda di far sparire Attwood dal libro paga dell'amministrazione prima dell'incontro così che la Casa Bianca possa poi plausibilmente smentire un contatto ufficiale.

Dopo la baia dei porci e la crisi dei missili, la necessità di sperimentare strategie alternative ai piani aggressivi portati avanti dalla Cia. Andare a vedere le reali intenzioni di Castro non può quindi non interessare Kennedy. Rapporti migliori potrebbero allentare i legami di Cuba con l'Unione sovietica.
«Grazie per avermi invitato»
Sorpresa di Bush alle truppe. Festeggia il ringraziamento con loro andando a Baghdad.

Thursday, November 27, 2003

:: il borsino ::
  • Bush, quell'"idiota fascista", Pil Usa +8,2% nel terzo trimestre 2003. Paese serio
  • Bush e Blair a Londra, impegni seri per la democrazia in Medio Oriente
  • Enzo Trantino per Telekom Serbia, si è deciso a scaricare il Marini. Ora i testimoni chiave diventano Prodi, Dini e Fassino. La CdL segua il suo esempio
  • Il Dalai Lama, lui sì che è un 'positivo'
  • Fini in Israele, direzione giusta
  • JFK, ricordo
  • Berlusconi, ha sensibilizzato la sinistra italiana sui problemi ceceno e tibetano
  • Berlusconi, Milano chiude il fascicolo Sme
  • I magnifici 9, perché non sono meschini e possono guardare dall'alto in basso
  • I pacifisti visti dal Dalai Lama: «Sapete qual è il difetto di questi movimenti di protesta? Non hanno mai una proposta»
  • Berlusconi, lo sfondone sulla Cecenia rimane, non c'è realpolitik che tenga. E con il Dalai Lama poteva essere più coraggioso
  • Chirac-De Villepin amanti dei diritti, nessun rappresentante del governo francese ha incontrato il Dalai Lama
  • Saddam e i terroristi islamici, i nostri carabinieri sono bravi e tosti
  • Fini sulle droghe, la Casa delle illibertà. Tutto inutile
  • Onu, Croce Rossa, 'Framania', rifiutano di esercitare il loro ruolo in Iraq. La sinistra finisca di invocare agli Usa la loro presenza: vadano a Berlino e Parigi piuttosto
  • Prodi, in disfacimento, in Europa conta zero. Fallito il modello renano, sarà sentito dalla Telekom Serbia. Pietà per lui
  • I media terroristi
  • Funerali di Ilda la rouge, colori d'autunno, una stagione finita
  • Sabina, sarà una brava attrice comica, ma ha dimostrato di aver un cervello da gallinaccia vecchia. Almeno farà buon brodo?
  • Floris, i suoi corsivi da «genere giornalistico» a «satira»: furbacchione, ma anche un po' codardo
  • Noi di RR.it, lavoriamo sempre di più, ma la paga diminuisce?!
  • JimMomo, missing in action
  • Wednesday, November 26, 2003

    Il Dalai Lama a Roma: «La Cina non deve essere isolata, ma integrata»
    «La suprema autorità spirituale tibetana è l'immagine dell'ottimismo e della positività, in stridente contrasto con la drammatica situazione del suo popolo, che, avverte egli stesso, rischia il «genocidio culturale». La sua azione politica è completamente fondata sulla nonviolenza, la moderazione, il dialogo con la Cina, chiede una significativa autonomia e non l'indipendenza per i tibetani. La Cina va integrata, non esclusa, va tranquillizzata per aiutarla a risolvere il nodo dei diritti e del Tibet». Leggi tutto. I pacifisti visti dal Dalai Lama: «Sapete qual è il difetto di questi movimenti di protesta? Non hanno mai una proposta».
    RadioRadicale.it
    Ballarai
    Non so se avete notato. L'anno scorso Floris, quello di Ballarò, che quando qualcuno che gli garba poco parla di cose serie lui gli ride in faccia, beh l'anno scorso difendeva strenuamente i suoi corsivi goebbelsiani perché il loro stile si rifaceva ad un preciso genere giornalistico. Ieri invece, alle prime critiche di Marzano, senti che ti risenti: «Ma ministro è satira! sono battute!». Già, la satira non si tocca.
    E' un genio incompreso, era tutta una tattica
    Berlusconi ha definito «leggende» le accuse alla Russia sulla questione cecena? Non incontrerà il Dalai Lama in visita a Roma in questi giorni? Ma non capite, non lo ha fatto perché è amico di Putin o cedendo alle pressioni di Pechino. No, il suo scopo era un altro e lo ha raggiunto. Cecenia e Tibet? Chi sono costoro? Fino alle sciagurate dichiarazioni del premier la sinistra italiana non avrebbe saputo indicare la loro posizione su una cartina geografica. Finalmente, grazie al Cav., la sinistra si è accorta delle loro questioni, ha speso qualche parola sui diritti umani violati da quelle parti, dopo anni di colpevoli e politicissimi silenzi. Speriamo solo che il nuovo interesse non sia dettato solo dal dare addosso al Berluska. Nooooh, ma che mi passa per la testa.

    Tuesday, November 25, 2003

    Berlusconi incontrerà il Dalai Lama in visita a Roma?
    Nel '94 ebbe il coraggio. In quell'occasione non fu distolto dal monito che giunse da Pechino e tenne fede all'impegno preso con i Radicali nell'allora "contratto di maggioranza". «Vile», osserva Marco Pannella, è anche «il comportamento dell'Ue nei confronti delle oppressioni sempre più gravi del regime di Pechino, di quello del Vietnam, di quello nordcoreano». «E' un'Europa molto più simile a quella di Monaco e di Vichy che a quella di Schumann e Altiero Spinelli».
    Funerali del Patto di stabilità
    L'Europa s'inchina ai capricci di Francia e Germania. Speriamo che almeno saranno riconoscenti. Prodi vicino a contare 0. Addio
    Funerali della Ilda
    Per pietà della mitica pm la Corte ha condannato Previti a 5 anni, rimandando alla Cassazione la prevedibile assoluzione. Il denaro è passato da Previti-Pacifico-Squillante, ma non si sa quali sentenze sarebbero state aggiustate. Sulla compravendita Sme invece, il fatto semplicemente non sussiste. Chiuso quindi il faldone su Berlusconi. Dopo anche la recente assoluzione di Andreotti (nella motivazione uscita ieri si legge: «Teorema imbastito senza prove»), si chiude un'epoca, ma quasi nessuno se n'è accorto e i girotondi continuano a girare (ma a vuoto).
    La destra che cambia
    Fini accolto in Israele. "Una visita, non un esame tardivo".
    I tedeschi riconoscono che gli Stati Uniti sono stati al loro fianco
    «Schroeder sceglie l'Iraq e spiazza tutti. Pronto a riconsiderare i debiti di Baghdad».

    Monday, November 24, 2003

    Ricordare John Fitzgerald Kennedy a 40 anni dalla morte significa fare i conti con il suo mito, con l'immagine distorta della sua figura che si è accreditata nel corso degli anni. Troppo spesso la ricostruzione storica e l'analisi di eventi e personaggi vengono inquinate dall'applicarvi parametri e giudizi infantilmente, o ideologicamente, legati ad una visione e ad un approccio moralistici. Pur di alimentare un mito che incarnasse aspirazioni e passioni politiche si è costruito sul carisma, sullo stile di vita, sulla morte del più giovane presidente Usa, soprattutto da parte di certa sinistra, un Kennedy che semplicemente non è esistito, ma che ha conquistato i cuori delle opinioni pubbliche colte e meno colte, giovani e meno giovani. Un Kennedy conciliante con i sovietici avendo a cuore innanzitutto la pace mondiale, per la quale scongiurò una guerra nucleare, un Kennedy che al primo posto della sua presidenza ha messo i diritti civili e la lotta alla povertà, un Kennedy che se non fosse stato ucciso non avrebbe cacciato l'America in quel brutto guaio in Vietnam, un Kennedy la cui azione politica fu sempre ispirata dal puro idealismo progressista e che diede il via alle grandi riforme di giustizia negli States. Questo Kennedy non è mai esistito e se questi sono i motivi per cui è ritenuto un grande presidente, fa bene chi riesce a dubitare, poiché forse i motivi per cui lo si può definire un buon presidente sono opposti.

    JFK diviene presidente in un momento critico per gli Stati Uniti e per l'ordine internazionale. L'accelerazione del processo di decolonizzazione e di affrancamento dei popoli del Terzo mondo dagli ex imperi europei porta la sfida del comunismo in tutto il mondo, un avversario non più contenuto, ma che affiora in ogni parte del globo. Il nuovo tipo di competizione evidenzia il declino della pur valida, ma vecchia e stanca leadership Eisenhower-Dulles. Gli americani hanno una percezione di loro stessi nel sistema mondiale come fortemente indeboliti. Si vive un senso di insicurezza, di un'epoca alla fine, si coltiva la speranza e il bisogno di un nuovo inizio, di nuovi strumenti per il confronto con l'Urss guidata dall'irruente Kruscev. Il nuovo presidente è l'immagine della giovinezza, dell'opulenza, dell'intelligenza. La sua è una delle grandi famiglie dell'aristocrazia americana. La sua ambizione, la sua dedizione, il suo dinamismo, la sua fantasia, l'intraprendenza individuale e il suo pur discusso stile di vita colpiranno l'immaginario dei cittadini americani, nonostante Kennedy abbia battuto Nixon per un pugno di voti e il consenso intorno alla sua presidenza vedrà assottigliarsi nei primi due anni di mandato.

    Ma di fronte alla nuova situazione internazionale, JFK sa raccogliere la nuova sfida del comunismo, è determinato a vincerla, con il famoso discorso sulla Nuova Frontiera caratterizza l'apertura del nuovo ciclo di cui gli americani sentono il bisogno. La dottrina della risposta flessibile sostituisce quella della rappresaglia massiccia, ma il presidente è convinto che alla sfida globale lanciata dai sovietici si risponde proiettando nel mondo la potenza americana con la totale mobilitazione delle energie della nazione. JFK sa che si tratta di competere col modello sovietico per portare nel proprio campo il maggior numero di popoli in via di decolonizzazione. Abbandona dunque l'atteggiamento pacato, soprattutto negli ultimi tempi, di Eisenhower: la politica del contenimento e dell'accerchiamento dell'avversario con sistemi di alleanze non paga più. La deterrenza si ottiene con la supremazia spaziale e militare, sia convenzionale, sia nucleare, quindi via al riarmo. Con 41 nuovi sottomarini nucleari e 700 nuovi Irbm a testata multipla Kennedy riarma l'America forse più di ogni altro presidente in tempo di pace, anche se dopo la crisi dei missili la normalizzazione, che a molti parve distensione, porta al bando dei test nucleari nell'atmosfera. Già nei primi incontri il presidente mostra i muscoli e Kruscev è costretto ad abbassare i toni.

    L'operazione della Baia dei Porci provoca conseguenze fallimentari. I piani erano stati elaborati dalla precedente amministrazione, ma il presidente Eisenhower non avrebbe mai consentito di mettere a repentaglio il prestigio nazionale. Dopo quel clamoroso insuccesso, il regime castrista si sarebbe consolidato e avvicinato definitivamente all'Unione sovietica, sarebbe stato offerto a Kruscev un forte alibi per tentare l'installazione di missili sull'isola caraibica, Fidel Castro sarebbe stato percepito dall'opinione pubblica mondiale come il campione della resistenza alla prepotenza e al neocolonialismo americano. JFK sa riscattarsi nella gestione e nella risoluzione della crisi dei missili a Cuba, che porta il mondo sull'orlo di una guerra nucleare. Kruscev alla fine accetta di ritirare i missili da Cuba e Kennedy dichiara pubblicamente l'impegno degli Stati Uniti a non minacciare in alcun modo il regime di Castro. Agli occhi del mondo Kruscev, che aveva sfidato la potenza americana doveva alla fine cedere. L'esito di quel confronto assume una valenza diversa se letto in funzione di un secondo accordo intercorso tra le parti, ma non reso pubblico, nel quale gli Usa si impegnano a ritirare i missili jupiter dalla Turchia. Ai fini dell'equilibrio tra le due superpotenze non si tratta di una rinuncia determinante, ma in termini politici ha considerevoli effetti nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa. In particolare, il presidente della RFT Adenauer e francese De Gaulle dubitano delle intenzioni americane di continuare a sostenere gli interessi e la sicurezza europee. Kennedy parla con enfasi della necessità di una partnership atlantica, ma opera per concentrare negli Usa il processo decisionale dell'Occidente: la special relationship con la Gran Bretagna e il rifiuto di offrire ai francesi gli stessi aiuti dati agli inglesi sull'atomica spingono De Gaulle dapprima a porre il veto sull'entrata della Gran Bretagna nella Cee, poi a siglare, il 22 gennaio 1963, un trattato di cooperazione con la Germania. Kennedy dà il via all'impegno militare Usa in Vietnam, sulla base della teoria del domino, ed è artefice del colpo di Stato che costa la vita al presidente Diem. Al momento della sua morte non possiamo sapere se avesse o meno l'intenzione di impegnarsi in un'escalation, come poi fece il successore Johnson, ma nulla dimostra che pensasse ad un ritiro.

    Kennedy avverte il problema di vincere il nuovo confronto con lUrss anche sul piano dei modelli di sviluppo: esportare la democrazia per favorire un tipo di crescita che possa rivelarsi preferibile al modello socialista agli occhi dei Paesi in via di sviluppo. L'Alleanza per il progresso con i Paesi dell'America Latina, anche se priva di successi, va letta in questa chiave, come primo serio tentativo per rapporti di collaborazione e integrazione. Tuttavia, non mancano compromessi equivoci nei processi di democratizzazione: dove guidare il progresso in chiave democratica non è possibile, sostenere regimi autoritari ma anticomunisti diviene una scelta praticata nell'ottica della Guerra fredda.

    Sul fronte interno sono poche le conseguenze pratiche e legislative. Consapevole di aver ottenuto un fragile mandato, attento alla rielezione, per la quale sono determinanti i voti dei democratici del sud segregazionisti, non si adopera per superare le resistenze di un Congresso nel quale un asse conservatore repubblicani-democratici del sud blocca o annacqua i progetti della presidenza su povertà, istruzione, previdenza, salari, infrastrutture. E' il suo successore Johnson a varare la legislazione desegregazionista, che poneva le basi giuridiche, anche se non economiche, sociali, culturali, per i diritti civili dei neri, e le riforme sociali per la Great Society. JFK appare invece distante dai movimenti per i diritti civili che già operano da tempo, è convinto delle loro posizioni, ma non appassionato. La svolta solo nel '63, quando una brutale repressione contro i neri in Alabama suscita l'indignazione generale contro i segregazionisti e il presidente cerca di prendere la guida del processo già in azione: con il suo linguaggio, ma sempre cercando la mediazione, legittima i movimenti, parla di questione morale, prepara una legge, ma non spinge il Congresso ad approvarla, deludendo le speranze. Un contributo decisivo per la causa dei diritti civili, privato però della sua leadership.

    Sia in campagna elettorale sia da presidente JFK non si sbilancia, è prudente, quasi esitante, indeciso, si circonda di intellettuali stimolanti. Dall'agenda liberale-riformista estrae molto poco, più attento al rilancio dell'economia che alle riforme e ai diritti civili, cerca di farsi accettare dalle imprese con una riduzione fiscale, che però non è determinante per la crescita economica quanto lo saranno gli investimenti nella ricerca e nella difesa. Poche le iniziative rispetto alle aspettative di cambiamento suscitate dal suo personaggio. Tuttavia, al crocevia dei cambiamenti ha il merito di non ostacolarli, di legittimarli, seppure esitante nel realizzarli, cosicché molte speranze rimangono tali. Grande però, la sua volontà di confronto e scontro col comunismo.

    «I nostri armamenti devono sempre essere adeguati ai nostri impegni. Monaco ci dovrebbe insegnare questo: che ogni bluff, alla lunga, viene scoperto. Non potremo ordinare a nessuno di tenersi lontano dal nostro emisfero finché i nostri armamenti e tutto il popolo che vi è dietro non saranno pronti a eseguire i nostri ordini, anche fino al sacrificio supremo della guerra. Non deve esservi alcun dubbio nelle nostre menti, la decisione deve essere immediata: se discutiamo, se esitiamo, se poniamo dei quesiti, sarà troppo tardi». John F. Kennedy (dal suo libro Perché l'Inghilterra dormì, scritto nel 1940).

  • Lo speciale di RadioRadicale.it

  • Antonio Versori, Storia delle relazioni internazionali Università di Firenze

  • Federico Romero, Storia dell'America del Nord Università di Firenze

  • Leopoldo Nuti, Storia delle relazioni internazionali, Università di Roma Tre

  • Massimo Teodori, Il Foglio
  • Sunday, November 16, 2003

    Saturday, November 15, 2003

    Il terrorismo dichiara guerra al mondo, il fondamentalismo islamico ha ormai una strategia globale contro la democrazia, i suoi simboli, dove c'è o dove tenta di nascere. Anche il Papa ha capito dov'è il vero nemico, e non è il capitalismo. Dopo gli attentati di oggi che hanno distrutto due sinagoghe ad Istanbul, in Turchia, si appella «agli uomini ed alle donne del mondo intero, a mobilitarsi in favore della pace e contro il terrorismo». E il premier turco Tayyip Erdogan, musulmano, li ha definiti «crimini contro l'umanità».
    Al-Qaida è intenzionata a usare armi biologiche e chimiche e soltanto problemi tecnici le hanno impedito di farlo fino a ora, avverte una commissione Onu (non Bush). A Nassiryiah, manifestazione di solidarietà degli iracheni davanti al quartier generale dei carabinieri, distrutto dall'attentato suicida di mercoledì. Per lo più studenti universitari, hanno voluto esprimere la loro solidarietà ai militari italiani: «No al terrorismo, sì alla libertà e alla pace», «Questo atto criminale ci unirà». «Condanniamo e denunciamo questo atto criminale - ha dichiarato Najim Tai, Rettore dell'Università locale - abbiamo sempre lavorato insieme agli italiani per mantenere la pace in questa regione».
    A forza di chiedere svolte... - Costituzione - elezioni - solo dopo il trasferimento di autorità. Queste le tappe del processo politico per rimettere in piedi la sovranità del popolo iracheno fino ad ora. Ma sembra che, a forza di chiedere «svolte» a Washington si stia per correggere il tiro: disimpegno in fretta, accelerare il trasferimento trovando subito un Karzai iracheno (che non c'è). D'accordo tutti (Powell, Rumsfeld, Cheney), dubbioso il presidente. "Victory strategy o Exit strategy?", si chiedono i neocons, molto critici dell'amministrazione: il presidente non ritiri truppe o sarà peggio del Vietnam. Con loro stavolta il senatore-eroe John McCain, che vuole più truppe. Vedremo, ma intanto Bush chiede a Bremer un governo locale, prima di una costituzione. Si osserva l'«incapacità dei 25 rappresentanti del Consiglio nazionale di Baghdad di assumere un punto di vista unitario, una strategia di governo nazionale», nonostante la «buona tenuta nel controllo del territorio, soprattutto da parte di curdi, turcomanni e sciiti del Sud, sia sul piano della sicurezza, sia su quello del funzionamento delle autorità locali, e nei rapporti interetnici. Dunque, «è difficile che Bremer possa trasferire poteri agli iracheni senza decidere a quali iracheni assegnare la primogenitura, l'esercizio non paritetico del potere. Bremer deve infatti impiantare una struttura decisionale, decidere chi sarà il leader di mediazione, tra etnie, religioni e tensioni, che assumerà la guida dell'esecutivo» e come nascerà la nuova bozza costituzionale. Leggi tutto.
    Ancora 18 mesi. Bremer ubbidisce, ma le sue obiezioni sono strasensate e vengono i brividi: se prima del trasferimento di poteri non ci sarà ordine, una costituzione, un censimento, un leader autentico emerso da sé dal Consiglio iracheno, e non resteremo ancora 18 mesi, la democrazia non nascerà. In Europa i ministri degli Esteri si vedranno lunedì e martedì, poi verrà Powell. La Francia rema contro, Blair tenta la mediazione.
    L'"agenda" del necon Kristol. L'Europa arriverà, Rumsfeld non va matto per l'esportazione della democrazia, ma Bush sa che sull'Iraq si gioca tutto: bisogna impegnarsi di più e lasciare solo dopo aver ristabilito l'ordine.
    I più accorti nella sinistra non hanno parlato di ritiro, ma hanno chiesto una svolta. Già, ma quale svolta?. L'America sta svoltando, l'Onu l'ha già fatto, ha legittimato, ma poi si è ritirata (come la Croce rossa!). La svolta vadano a chiederla a Parigi e Berlino.
    Il Papa salta giù dalla carretta dei pacifisti
    Il Papa, nel suo telegramma di condoglianze al presidente Ciampi per l'attentato di Nassiryiah definisce a chiare lettere quella in Iraq «missione di pace», segno inequivocabile che «la Chiesa considera chiuse le polemiche del tempo di guerra, e che ora sostiene con decisione la difficile opera di ricostruzione e di pacificazione dell'Iraq». «La distanza fra lo spirito pacificatore della Santa Sede e il pacifismo politico, spesso di matrice antiamericana, si è fatta sempre più netta, fino a sfociare nelle attuali aperte dissociazioni. Distinzioni nette anche rispetto al pacifismo «"ingenuo", di chi cioè pensa che la pace si possa ottenere semplicemente chiedendola, senza un complesso apparato politico, giuridico – e dove occorre militare – che la sostenga concretamente». «La pace, interna e internazionale, non va solo invocata, deve essere costruita con la politica e difesa, se necessario, anche con le armi. Chi lo fa, come i caduti italiani in Iraq, non è "morto per niente" come sostengono i pacifisti a oltranza», che Francesco Riccardi su Avvenire definisce «tirchi di condanne». Leggi tutto, Il Foglio.
    «Potremmo trovarci a dovere rivedere i nostri inattaccabili dogmi pacifisti. A trovare nuove risposte. A scoprire che la pace, a volte, occorre difenderla. E che può costare moltissimo. Come a quei ragazzi a Nassiriyah, ieri mattina, che non sono morti per niente», scrive Marina Corradi sull'Avvenire.

    Friday, November 14, 2003

    Ddl Fini sulle droghe, sconfitta campale
    Casa delle Libertà? Ma quali libertà? Le loro? Non certo le nostre. Anche Ferrara scettico, molto scettico.
    In un'intervista al Financial Times Bush ha ribadito: «Non ce ne andremo finché il lavoro non sarà ultimato». Rispetto alla guerra al terrorismo bisogna guardare alle relazioni internazionali dalla. «Il caso iracheno è stato unico, è unico, perchè il mondo per oltre un decennio aveva dato il suo giudizio. La via diplomatica era stata tentata», ma «non ogni situazione richiede però una risposta militare. Spero che ci siano pochissime situazioni che richiedano una risposta militare». Lavorando con la Cina è riuscito a mettere insieme cinque paesi per lanciare lo stesso messaggio alla Corea del Nord: «Ci aspettiamo che non svilupperete armi nucleari» e all'Iran, dove, insieme con Gran Bretagna, Francia e Germania, si è cercato di fare una pressione diplomatica per evitare il proliferare delle armi nucleari: «Gli iraniani devono sentirsi dire dal mondo, a una voce, che è inaccettabile che sviluppino armi nucleari».
    La sua politica estera fondata su due principi: primo, la sicurezza dell'America. Secondo, le società libere e democratiche sono società che non alimentano il terrore, sono società che si trasformano. E noi abbiamo la possibilità di trasformarle insieme, trasformare in modo costruttivo intere società e intere regioni del mondo».
    New:
  • Bush says finding Saddam is a key goal, FT

  • "They say we're getting a democracy", The Economist
  • Thursday, November 13, 2003

    Appello inascoltato
    Se ne sono sentiti purtroppo tanti di discorsi ipocriti e vergognosi. Non si può premettere dolore, cordoglio, solidarietà ai nostri militari uccisi e alle loro famiglie e allo stesso tempo oltraggiarne la memoria, chiamarli forza occupante, descrivere il loro lavoro quotidiano come quello di chi porta la guerra dove prima non c'era, arrecando maggiori sofferenze, addirittura definire questa missione coloniale e imperiale, giustificando quindi la violenza terrorista che non è resistenza nazionale, ma fascismo allo stato puro. Abbiano il coraggio dunque, o la dignità, coloro che la pensano a questo modo, di tacere e non sentirsi obbligati a nessun gesto di condoglianza. Chi invece sinceramente ha scelto di stare dalla parte della democrazia, ma è legittimamente dubbioso circa le strategie adottate per prevalere nella lotta al terrorismo, chi riconosce che non è questo il momento di tirarsi indietro, ponga un argine definitivo tra se stesso e le parti della propria coalizione politica, del proprio stesso partito, che non perdono occasione per schierarsi dalla parte dei dittatori fascisti o comunisti. Mi rivolgo a D'Alema, a Prodi, a Fassino, a Rutelli, a chi si definisce di sinistra, riformista, democratico: rompete per sempre con costoro, non pensate, al contrario, di formarvi alleanze per opportunismo o debolezza, offrite al Paese una vera alternativa responsabile di governo.
    Dai giornali:
  • Questa storia di dolore

  • "Il trucchetto di trasformare le vittime in responsabili"

  • Il Foglio
  • Ora spetta alla Vecchia Europa aiutare gli Usa a uscire dal pantano

  • Perché dobbiamo restare che cosa deve cambiare

  • D'Alema e Fassino tengono il fronte «Non è il momento di dire: ritiratevi»

  • Ciampi mette a tacere il partito del ritiro

  • il Riformista
  • Il lutto, l'illusione, Stefano Folli

  • Ma il ritiro Usa porterebbe caos, Sergio Romano

  • Corriere della Sera
  • Fine delle ipocrisie: adesso è guerra, Pierluigi Battista

  • La Stampa
    Dall'estero:
  • "Not a Guerrilla War - Yet", William R. Hawkins, National Review
  • Wednesday, November 12, 2003

    Onore ai militari italiani
    caduti in Iraq per la libertà dei popoli
    Chiamata alle armi di un vile
    Il «manifesto per l'Europa» di Prodi suona come una chiamata alle armi per il centrosinistra italiano. In Europa lo hanno visto come una illegittima interferenza del presidente della Commissione negli affari politici italiani: si occupi del suo incarico, illustri il programma della Commissione per il 2004 e resti al di sopra delle parti, o si dimetta. E il presidente del parlamento europeo Pat Cox gli ha chiesto di chiarire alla prossima sessione di Strasburgo. Le liste unitarie per le elezioni europee vanno anche bene, ma cosa si prepara per le politiche del 2006? Bertinotti rischia davvero di ritrovarsi al ministero del Lavoro? E come si farà a rimproverare Berlusconi di gridare 'allarme son comunisti'? Ma sto correndo troppo.

    Tuesday, November 11, 2003

    Tutti zitti
    Su ogni gaffe europea di Berlusconi da sinistra si levano grida di dolore e di scherno, anche le più inutili sono oggetto di strumentalizzazioni. Guarda caso, sulle vergognose dichiarazioni in difesa dell'«amico» Putin riguardo il problema ceceno nessuno dei leader del centrosinistra ha aperto bocca. Prodi è un vigliacco. Nonostante fosse presente a quella conferenza stampa ha taciuto, salvo poi far bisbigliare ad un suo portavoce una lieve dissociazione, a fronte dell'assenza totale di iniziative della Commissione (il commissario per gli aiuti umanitari non si è mai recato in Cecenia). I leader europei tacciono, non osano dire ciò che ha detto Berlusconi, ma lo pensano, per interesse, per convinzione, o per errore. L'Europa è la condanna dei ceceni.

    Monday, November 10, 2003

    Non mollare, è il primo fronte della guerra al terrorismo
    In Iraq operano terroristi stranieri giunti da Sudan, Yemen, Siria e Arabia Saudita, e uomini di Saddam per far fallire la ricostruzione. L'obiettivo attuale di Al Qaeda è rovesciare la dinastia saudita, non ha dubbi il vicesegretario di Sato americano, Richard Armitage: «E' abbastanza chiaro - ha detto all'emittente panaraba al-Arabya all'indomani dell'attenatato che a Ryad costato la vita a 17 persone - che al Qeada vuole rovesciare la famiglia reale e il governo saudita». E' una guerra, c'è più di una battaglia, il nemico ha strategie, mezzi, volontà, apre dei fronti.

    Friday, November 07, 2003

    Sfondoni veri
    Risentite cosa è riuscito a dire Berlusconi nel tentativo di difendere l'«amico» Putin dalle critiche per le brutali repressioni e le violazioni dei diritti umani compiute dai russi in Cecena. Le solite gaffe del premier ci divertono anche, e spesso sono strumentalizzate, ma stavolta davvero non c'è niente da ridere. E pensare che le assurdità che ha rifilato gli vengono, a suo dire, da informazioni dei «servizi segreti». Niente di più facile che se si chiedesse ai serivizi segreti italiani e a Berlusconi stesso di indicare su una cartina geografica dov'è la Cecenia, starebbero minuti a roteare il ditino per poi puntarlo chissà dove. Qui l'audiovideo
    Bush non arretra, rilancia: democrazia e diritti in Iraq e in Medio Oriente
    «La libertà può essere il futuro di ogni nazione». La scommessa era particolarmente alta in Iraq, ma le forze della coalizione sono riuscite ugualmente a far crollare il regime di Saddam Hussein. «Conosciamo la posta: il fallimento della democrazia in Iraq incoraggerà i terroristi nel mondo e accrescerà i pericoli per gli americani, spazzando via le speranze di milioni di persone».
    Davanti alla "Fondazione nazionale per la democrazia" Bush ha invitato i Paesi arabi ad accelerare il passo verso la democrazia, indicando la promozione della democrazia e della libertà come strumento di crescita e prosperità economica: «Finché in Medio Oriente la libertà sarà negata, tutta l'area rimarrà un posto di stagnazione, risentimento e violenza pronta per l'esportazione». Leggi e riascolta tutto.

    E' tutto qui il cambio della politica estera americana: ora c'è la consapevolezza che la sicurezza nazionale dipende dall'evoluzione democratica dei regimi oppressivi piuttosto che dalla stabilità di regimi, anche autoritari, con cui si è amici per interessi. Ma al giorno d'oggi il dibattito vive un paradosso, oggi vige l'asse Kissinger-sinistra: «Una volta chi voleva sconfiggere le dittature e battersi per il progresso civile e democratico era considerato un visionario di sinistra, ovviamente della sinistra liberale. I sostenitori dello status quo, invece, cioè quelli che-chi-se-ne-frega dei popoli oppressi, l'importante è che ci sia un regime autoritario e stabile con cui fare affari e garantire i propri interessi, erano i pragmatici realisti di destra». Un buon esempio da "Requiem per i neocon", di John Hulsman, presentato così su Il Foglio: «La critica di Hulsman ai neoconservatori è di destra, di segno realista. Per semplificare: è come se queste parole uscissero dalla bocca di Henry Kissinger. Eppure se le confrontate con le tesi dei leader politici della sinistra europea, e intendo della sinistra non antagonista, sono molto più che simili».
    Camillo
    Mea culpa/1, l'Onu
    La commissione indipendente nominata dal segretario generale Kofi Annan per indagare sull'attentato del 19 agosto 2003 al Canal Hotel di Baghdad - in cui morirono 22 persone, tra cui il capo missione Sergio Viera de Mello, e più di 150 furono i feriti - ha reso note le sue conclusioni, che hanno portato alle dimissioni del capo missione Ramiro Lopez da Silva e il capo della sicurezza Tun Myat.
    «I responsabili della sicurezza delle Nazioni unite hanno fallito nella loro missione di assicurare adeguata protezione al personale Onu in Iraq. Il fallimento dei dirigenti e del personale delle Nazioni unite nel rispettare le direttive sugli standard di sicurezza hanno reso l'Onu vulnerabile al tipo di attacchi che è stato perpetrato il 19 agosto 2003».
    Nel dossier, infatti, si legge addirittura che sono stati gli stessi funzionari dell'Onu a chiedere ai soldati americani di alleggerire la loro presenza attorno al loro quartier generale, senza preoccuparsi nemmeno di trovare forme di protezione alternative.
    il Riformista
    Ripensandoci...
    «Sulla guerra in Iraq mi ero sbagliato. La caduta di Saddam valeva la pena». Ad ammetterlo è Fawad Turki, di Arab News, il quotidiano saudita in lingua inglese che ieri ha pubblicato questo articolo ripreso da il Riformista.

    Thursday, November 06, 2003

    Orgoglio Dc
    Al Senato Andreotti respinge la difesa di Violante e lo chiama in causa: cercò di incastrarlo. Ora più che mai è necessaria una commissione d'inchiesta per indagare nel torbido degli anni '90. Chi cavalcò l'onda di giustizialismo giacobino? chi furono i mandanti politici delle infamanti accuse di mafia, rivelatesi tutte infondate, su alcuni leader Dc? Come fu possibile? Chi se ne avvantaggiò? Cosa è rimasto di questa esperienza nella cultura politica italiana?

    Wednesday, November 05, 2003

    **************************
    *
    *La Terza via è viva e vegeta
    *
    **************************
    ... e, guarda un po', piace ai neocons. La strategia per la sicurezza nazionale elaborata dal think tank clintoniano Progressive Policy Insitute non si discosta molto dall'approccio di politica estera dell'attuale amministrazione (ovviamente la critica è invece dura sui temi di politica interna). In un prossimo post un'analisi più dettagliata, ma sembra sempre più evidente che la politica estera americana ruota più intorno alla discriminante idealisti-realisti che intorno a quella democratici-repubblicani, o, meno ancora, falchi-colombe.
    :: Il borsino ::
  • Andreotti, si è potuto togliere i sassolini dalle scarpe
  • Le mitiche dame di Baghdad. Vera Baldini, Giovanna Botteri, Gabriella Caimi, Maria Cuffaro, Tiziana Ferrario, Dietlinde (Lilly) Gruber, Monica Maggioni, Mimosa Martini, Anna Migotto, Gabriella Simoni. Hanno fatto il loro lavoro (come molti italiani), alcune lo hanno fatto pure male e sono diventate barzellette (come molti italiani), lo hanno fatto pagate bene (come molti italiani). Ciampi le ha nominate cavalieri.
  • Le nuove Br, ora tutti penderanno dalle vostre labbra (per capire, s'intende)
  • Capezzone, se l'è vista brutta ma è ancora lì
  • Pannella, "padre padrone" in gran forma
  • Stati Uniti, chi ha detto che vogliono cestinare l'Onu?
  • 4ss., forse un aumento in arrivo
  • Gesù, sempre in croce, ma scendi dalle pareti!
  • L'Unione europea, antisemiti si nasce
  • L'Unione europea, la sua elemosina per la ricostruzione dell'Iraq
  • Le nuove Br, nel sacco!
  • Violante, figuraccia!!! Ora si vergogni in silenzio
  • Della Vedova, il nulla che è in noi. Attapirato
  • Le elezioni on-line dei Radicali, una farsa, anzi una truffa, anzi mi viene da ridere, poracci!
  • robba, di nuovo missing in action
  • Europa gravemente malata?
    Mi piacerebbe essere sicuro che il 59% degli europei che ha risposto di vedere Israele come il Paese più pericoloso per la pace mondiale si fosse riferito in realtà alla regione geografica nella quale tanto sangue si sta spargendo, a prescindere dalle colpe. Temo che non sia così, temo che l'Europa possa tornare a farsi contagiare dai tremendi virus che l'hanno ridotta ad un cumulo di macerie nel secolo scorso. L'antisemitismo non solo, altri segnali poco incoraggianti per i quali vi rimando, se ne sarò capace, ad un futuro post. Certo è che non si può mai abbassare la guardia, libertà e democrazia bisogna viverle e non lasciarle lettere morte, anche nel dibattito politico di tutti i giorni. E le politiche dell'Unione europea sulla Cecenia, sull'Iraq, in Asia; poi i finanziamenti ad Hamas fino all'altro giorno, le strette di mano ad Arafat, tutto questo finirà per contare qualcosa.
    «Siamo tanti in Cgil, e anche in Cisl» La strategia entrista dei fan di Galesi
    L'area grigia esiste eccome, la matrice ideologica dei terroristi è ben rappresentata e pienamente legittimata nel dibattito politico. Quando la sinistra farà veramente i conti con la sua storia?
    il Riformista
    "Diamo una mano alla Cgil"
    Il Foglio

    Tuesday, November 04, 2003

    Lunedì 3 Novembre 2003, 8:27
    Washington (Reuters) - L'estromesso presidente iracheno Saddam Hussein non ordinò un contrattacco quando le truppe Usa iniziarono a marciare in Iraq perché era convinto che sarebbe sopravvissuto ad una invasione. Lo scrive oggi il Washington Post. L'ex-vice primo ministro iracheno Tariq Aziz, che si è arresto ad aprile, ha spiegato negli interrogatori che dopo gli incontri con intermediari russi e francesi, Saddam era convinto che avrebbe potuto evitare la guerra, scrive il giornale, citando funzionari americani. L'articolo dice che Aziz negli interrogatori ha detto che gli intermediari russi e francesi assicurarono a Saddam alla fine del 2002 e all'inizio di quest'anno che avrebbero bloccato la guerra Usa attraverso ritardi e veti al consiglio di sicurezza della Nazioni Unite. Alla vigilia del conflitto, Hussein uscì da un incontro con russi e francesi convinto che gli Stati Uniti non avrebbero lanciato una immediata invasione in Iraq, secondo quanto detto da Aziz, riferito da alcuni funzionari americani, scrive ancora il quotidiano. Aziz ha spiegato ancora che Saddam era così sicuro di sé che rifiutò di ordinare una immediata risposta militare quando sentì i rapporti che le truppe di terra americane stavano entrando in Iraq perché pensava che si trattasse di una finta. I funzionari Usa coinvolti negli interrogatori hanno detto però che i racconti di Aziz non sono supportati da altre fonti.
    "L'America deve restare, l'Europa deve aiutare"
    «A Parigi e a Berlino, lavandosene le mani, stanno giocando col fuoco».
    il Riformista
    Della Vedova commenta il Congresso dei Radicali
    La sua mozione era il «nulla», come dice Pannella, o no?
    il Riformista
    La strategia americana in Iraq
    «Troppo gentile» secondo alcuni. Inadeguata contro i terroristi. Aggiustare il tiro si può?
    Il Foglio

    Monday, November 03, 2003

    Me ne sono stato buono buono a letto tutta la domenica. Al calduccio sotto le copertine. Mi ci voleva un giorno di pausa totale. E ci voleva un gran raffreddore con qualche linea di febbre per fermarmi. Sarà, ma dopo un'abbondante mezza giornata passata a cercare il congressista modello dei Radicali italiani, tornato a casa avevo 38 di febbre. Un caso? Ora è già passata e sono tornato a lavoro. Tante idee per la testa, anche questo blog andrebbe rinvigorito, pure di questi colori mi sono stufato. Vi potrei dire di quel triste sondaggio fatto fare dalla Commissione europea dal quale è risultato Israele il paese più pericoloso per la pace mondiale. Lasciamo perdere per oggi, le cose da pazzi non le sopporto. Andate qui per protestare, o qui per stare un poco più attenti a quello che vi bevete. A domani, e aspettatevi un borsino.

    Friday, October 31, 2003

    Ora ci vuole una commissione d'inchiesta bipartisan... per "alto tradimento"
    Non basta più tacere, o commentare che sì, si ha «fiducia nella magistratura», la si lascia «lavorare serenamente», che si «rispettano le sentenze». La classe politica, a destra come a sinistra, dimostri maturità e responsabilità. Che ne dite, siamo pronti dopo ieri a riscrivere la storia politica e giudiziaria degli ultimi 13 anni? Vogliamo seriamente e senza ipocrisie, o timori reverenziali, o calcoli politici, dare inizio ad un'operazione "toghe pulite"? Anche, se si preferisce, azzerando, scordandoci delle posizioni assunte in passato? Come la classe dirigente del Paese ha subito un lungo processo per la sua gestione corrotta della cosa pubblica, così oggi è giunto il momento di indagare, senza strumentalizzazioni e intenti propagandistici, la vera essenza della magistratura in Italia. Oltre alla riforma della Giustizia, di sistema, serve una riflessione sulla cultura giuridica eversiva dei singoli, individuando responsabilità strettamente e rigorosamente individuali, di chi per anni ha svolto dalle Procure, dichiarandolo apertamente, la sua guerra ideologica contro lo Stato. Andarli a ripescare nomi e cognomi, chi per più di un decennio ha indebolito la lotta alla mafia, ha sperperato denaro pubblico, ha cancellato partiti politici, ingannato i cittadini e avvelenato il clima politico. Il capo d'imputazione? Un vero e proprio "alto tradimento".
    La disperata guerra clerico-fascista contro la democrazia in Iraq. Altro che partigiani!
    E' «il principe degli editorialisti liberal del pacifista New York Times, cioè Thomas Friedman, a spiegare perfettamente che cosa stia succedendo in Iraq, anzi più che in Iraq, nei circoli intellettuali e giornalistici del mondo occidentale». Un clamoroso esempio di falsificazione e ignoranza. In Iraq «le stragi non sono di segno indipendentista o resistenziale, sono di matrice fascista. Gli arabi di bin Laden e i camerati di Saddam non sono partigiani, sono repubblichini se non khmer rossi, come scrive Thomas Friedman». «I terroristi non uccidono gli americani affinché gli iracheni possano autogovernarsi, uccidono gli americani perché vogliono tornare a torturare gli iracheni». «Eppure sembra che la colpa di queste stragi sia degli americani. I fascisti saddamiti massacrano i crocerossini che si prendono cura degli iracheni, eppure sui giornali passano per partigiani della libertà». «I terroristi sembrano aver capito molto meglio della sinistra mondiale quale sia la posta in gioco. I fascisti di Saddam sanno perfettamente che questa non è una guerra per il petrolio né imperialista né della lobby ebraica. Come ha scritto il liberal Friedman, "questa è la guerra più radicale e liberale e rivoluzionaria che gli Stati Uniti abbiano mai dichiarato: la guerra per installare la democrazia nel cuore del mondo arabo-musulmano"». Leggi tutto
    Camillo
    L'Italia dei processi politici e dei delitti impuniti
    «Assolti per non aver commesso il fatto». E' dunque con formula che la Cassazione assolve definitivamente Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti dall'accusa di aver fatto assassinare il giornalista Mino Pecorelli, annullata senza rinvio (uno schiaffo a Perugia, l'è tutto da rifare) la sentenza di condanna che la Corte d'assise d'appello di Perugia aveva emesso il 17 novembre 2002 scorso. L'assoluzione era stata richiesta ieri dallo stesso procuratore generale. Netto il rigetto del presunto «mandato omicidiario» (la notizia).
    Questa mattina il senatore a vita Giulio Andreotti, che esce così vincitore assoluto da dieci anni di veri e propri processi politici mette da parte la moderazione dei toni che fin qui lo aveva contradistinto: si è trattato di «un complotto» sotto forma di «due milioni di pagine processuali che mi riguardano» sulle quali ci sono «le impronte digitali di chi ha tramato». Luciano Violante «quando era presidente dell'Antimafia ha compiuto una gravissima scorrettezza nei miei confronti».
    «Mi hanno rivoltato per dieci anni come un pedalino, hanno cercato in tutti i modi di incastrarmi. Non ci sono riusciti, quindi. Ho firmato leggi durissime contro i mafiosi - rivendica l'ex presidente del Consiglio - tanto che nella sentenza di Palermo è evidenziato che ho messo a repentaglio la mia vita e quella della mia famiglia. Non ho mai perso la fiducia nella giustizia, anche se all'inizio facevo un po' di fatica a dirlo. Ora sono contento, molto contento, anche perché ho speso un capitale in marche da bollo». "Gli smentiti" della vicenda.

    Thursday, October 30, 2003

    La leggenda degli uomini straordinari
    1899. L'Europa è sull'orlo di una guerra mondiale. Attacchi a Londra e Berlino sono stati compiuti da un'organizzazione criminale che sta cercando di mettere i Paesi l'uno contro l'altro per far piombare il mondo nel caos. Il suo scopo è poi vendere le proprie modernissime e potentissime armi al migliore offerente tra gli Stati. Incaricata di salvare le sorti delle nazioni è una squadra di supereroi dell'epoca: non sono altro che personaggi tratti dalla fantasia di famosissimi romanzieri dell'800 (tra cui Stevenson, Verne, Twain). Un vero e proprio fumettone imperdibile per gli amanti del genere. Ritmo incandescente, colpi di scena, combattimenti avvincenti, le tipiche battute da supereroi ben recitate da un ottimo cast. Il britannico Sean Connery all'americano Shane West: «Questo secolo è appartenuto a me (leggi GB, n.d.r.), spero che il prossimo appartenga a te (leggi USA, n.d.r.)».
    I supereroi:
    Allan Quatermain è il cacciatore e avventuriero inventato da H. Rider Haggard in "Le miniere di Re Salomone" (1885); Mina Harker è la moglie dello Jonathan del romanzo "Dracula" di Bram Stroker (1897); Il Dr. Jeckyll, ed il suo alter ego Hyde sono stati creati da Robert Louis Stevenson nel 1886; Rodney Skinner, è l'emulo di Hawley Griffin, l'uomo invisibile di H.G. Wells (1897); il capitano Nemo, con il suo Nautilus, è tratto dalle 20.000 leghe sotto i mari di Jules Verne (1870); Dorian Gray è il personaggio de "Il ritratto di Dorian Gray" (1891) di Oscar Wilde; Tom Sawyer esce dal libro di Mark Twain "Le avventure di Tom Sawyer" (1876). Il Sito ufficiale del film.
    Crocefisso out. Nonostante le perplessità bisogna riconoscere che... e ribattere che...
    Nonostante le perplessità già espresse sempre su questo blog, vogliamo riconoscere ciò che così bene oggi riconosce Giuliano Ferrara nel suo editoriale su Il Foglio: regge l'ordinanza del giudice dell'Aquila, male la reazione di Castelli, malino quella di Pisanu, malino pure Bossi, bene Bertinotti. Lodi al giudice e ineccepibili argomenti anche nel suo "Come leggere la sentenza e come opporsi alla sua morale".
    Esiste un Islam moderato? Risponde Daniel Pipes
    «Per Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum, esiste un composito Islam moderato, oggi è debole e bisogna sostenerlo perché è la risposta al problema dell'Islam militante. La democrazia è possibile in Medio Oriente. L'idea totalitaria dell'Islam nasce in epoca moderna ed eredita i suoi caratteri dal fascismo e dal leninismo». Notizia + audiovideo
    RadioRadicale.it

    Wednesday, October 29, 2003

    :: La citazione del giorno ::
    «Io non vivo, io compro scarpe»
    robba
    Replica a "crocefissi from usa" e a "ziggy stardust"
    Mi rivolgo a Mic.
    Scusa ma in qualsiasi modo la si pensi, su quella sentenza c'è molto da discutere e ciò che stabilisce non è così ovvio come sembra. Che se ne parli, che la si critichi, non dovrebbe far cadere dalle nuvole. Alla laicità della scuola e del nostro Paese teniamo tutti, ma a me, per esempio, pare che togliere il crocefisso dalle aule per sentirsi più laici sia un'ipocrisia, e che la laicità vada difesa altrove: c'è, per rimanere a scuola, l'ora di religione imposta (se no perdi tempo per un'ora) che è catechismo, ci sono la ricerca scientifica, i diritti civili, le ingerenze del Vaticano e chi si fa volentieri ingerire. Esiste davvero una legge che impone il crocefisso nelle aule, credo risalga al '23, ma quella legge andrebbe semmai, e le possibilità che avvenga sono molte, dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Tuttavia, sul significato del crocefisso in quel contesto c'è molto da discutere, come molto si discute in America dell'«under god» (a giacomino dico solo che non è un'espressione che ha origine negli anni '50, ma si ritrova nelle più profonde radici della nazione americana, nelle parole di un tale George Washington). Il crocefisso nelle aule è davvero percepito, da cattolici e non (a quanto pare ferisce il provocatore, ma non i musulmani italiani che si sono espressi per bocca dei loro rappresentanti), come simbolo di una religione di Stato che vuole escludere e negare pari dignità alle altre, o piuttosto come richiamo ai valori condivisi, alle tradizioni, alle radici culturali e storiche di una nazione? Non vedevamo tutti noi bambini nel Cristo appeso un'ingenua e bonaria richiesta di una generica protezione divina per le attività e gli occupanti di quel pubblico edificio? Può uno Stato laico rinunciare totalmente ad esprimere un importante tratto identitario della propria storia per timore di essere accusato di intolleranza? Usando un po' di buon senso, mi viene in mente: non si imponga con direttive statali la presenza del crocefisso, ma neanche la si vieti. Non è forse proprio consentendo l'espressione delle libertà religiose e non negandole che uno Stato può dirsi davvero laico e democratico? Le identità bisogna rispettarle tutte, non annullarle a cominciare dalla propria; vanno promosse la pluralità e la diversità, contro l'omogeneità e per favorire il dialogo nel rispetto reciproco, perché il rischio è di cadere in un'illusione egualitaria generatrice di intolleranze.
    Il diritto, come è giusto che sia, farà il suo corso, e modellerà le nostre abitudini. Ammetto però che mi dispiace che il crocefisso venga tolto, dico che non è un dramma, che non c'è da proclamare crociate, ammetto che in punta di diritto positivo si dovrà togliere, ma se mi si consente dico che non è per quel crocefisso che il nostro Paese ha seri problemi di laicità (ché poi sta per nascere il problema di una laicità che dovrebbe a sua volta essere laica, ma spesso non lo è). Tra l'altro il crocefisso non va compianto come un simbolo, rimane un dato storico e pazienza se viene tolto da lì, i tempi cambiano e ci si abitua. Speriamo solo che non si inizi a toglierlo anche dai libri di storia.


    Interessanti:
  • Natalia Ginzburg su l'Unità del 25 marzo 1988. «Sta sul muro. Tace. Non dà lezioni a nessuno. Ma a tutti ricorda qualcosa. E' tolleranza consentire a ognuno di costruire intorno a un crocifisso i più incerti e contrastanti pensieri». Leggi tutto

  • Altri spunti per il dibattito
  • Parla il premio nobel per la pace Shirin Ebadi
    Su Weekly Standard un'intervista a Shirin Ebadi, la donna iraniana, avvocato e attivista per i diritti umani, a cui è stato assegnato il premio nobel per la pace: crede nei diritti umani come valore universale, scarica Kathami, crede nella possibilità di un Iran riformato dall'interno, di un Islam compatibile con la democrazia, ed incita le donne ad alzare la testa e a sfidare la casta di intoccabili che detiene il potere. Leggi

    Tuesday, October 28, 2003

    Forze troppo occulte in Iraq: qualcosa di nuovo e inquietante, un'ipotesi
    E' stata vinta la guerra a Saddam, ma non la guerra al terrorismo. Il fatto è che il Medio Oriente è lontano dalla dignità umana, lontano dai diritti universali sanciti dalla carta delle Nazioni Unite, quindi lontano dalla pace, lontano anni luce. In Iraq lo sforzo di pacificazione è grande, la ricostruzione onerosa, ma non ci si può scoraggiare, anche di fronte ad efferati attentati. Non si può fallire nel fondare una democrazia nel cuore di quella regione. I nemici della democrazia sembrano aver compreso quanto la 'missione Iraq' sia cruciale. Se il processo politico e di ricostruzione sembra procedere, gli attacchi al nuovo Iraq crescono di intensità: sono più seri e mirati quelli contro gli stessi iracheni. La pianificazione sempre più raffinata, la sapiente scelta degli obiettivi degli attacchi, il disegno politico che affiora, autorizzano a sospettare l'azione sul territorio di grandi organizzazioni terroristiche, vitali, piuttosto che la guerra sotterranea di un regime in rotta: sempre meno certo e definibile il ruolo dei fedelissimi di Saddam, più visibile una strategia globale alla quale potrebbero non essere estranee alcune capitali arabe del golfo. «Gli americani si accontentino di aver cacciato Saddam, lascino l'Iraq e si scordino una democrazia quaggiù». Se da una parte le cose vanno bene in Iraq e non bisogna cedere al pessimismo, di fronte a questi attacchi gli americani sembrano brancolare nel buio: qualcosa di nuovo, di imprevisto, di inquietante, ideato e preparato durante i mesi di futili discussioni all'Onu, il tempo regalato ai nemici per organizzarsi. E in Europa un asse che sogghigna.